domenica 26 marzo 2017

Il pianto della scavatrice, 1956, Pier Paolo Pasolini

Da "Il pianto della scavatrice" del 1956, di Pier Paolo Pasolini


 Nella vampa abbandonata
    del sole mattutino - che riarde,
    ormai, radendo i cantieri, sugli infissi
     
    riscaldati - disperate
    vibrazioni raschiano il silenzio
    che perdutamente sa di vecchio latte,
     
    di piazzette vuote, d'innocenza.
    Già almeno dalle sette, quel vibrare
    cresce col sole. Povera presenza
     
    d'una dozzina d'anziani operai,
    con gli stracci e le canottiere arsi
    dal sudore, le cui voci rare,
     
    le cui lotte contro gli sparsi
    blocchi di fango, le colate di terra,
    sembrano in quel tremito disfarsi.
     
    Ma tra gli scoppi testardi della
    benna, che cieca sembra, cieca
    sgretola, cieca afferra,
     
    quasi non avesse meta,
    un urlo improvviso, umano,
    nasce, e a tratti si ripete,
     
    così pazzo di dolore, che, umano,
    subito non sembra più, e ridiventa
    morto stridore. Poi, piano,
     
    rinasce, nella luce violenta,
    tra i palazzi accecati, nuovo, uguale,
    urlo che solo chi è morente,
     
    nell'ultimo istante, può gettare
    in questo sole che crudele ancora splende
    già addolcito da un po' d'aria di mare...
     
    A gridare è, straziata
    da mesi e anni di mattutini
    sudori - accompagnata
     
    dal muto stuolo dei suoi scalpellini,
    la vecchia scavatrice: ma, insieme, il
    fresco
    sterro sconvolto, o, nel breve confine
     
    dell'orizzonte novecentesco,
    tutto il quartiere... È la città,
    sprofondata in un chiarore di festa,
     
    - è il mondo. Piange ciò che ha
    fine e ricomincia. Ciò che era
    area erbosa, aperto spiazzo, e si fa
     
    cortile, bianco come cera,
    chiuso in un decoro ch'è rancore;
    ciò che era quasi una vecchia fiera
     
    di freschi intonachi sghembi al sole,
    e si fa nuovo isolato, brulicante
    in un ordine ch'è spento dolore.
     
    Piange ciò che muta, anche
    per farsi migliore. La luce
    del futuro non cessa un solo istante
     
    di ferirci: è qui, che brucia
    in ogni nostro atto quotidiano,
    angoscia anche nella fiducia
     
    che ci dà vita, nell'impeto gobettiano
    verso questi operai, che muti innalzano,
    nel rione dell'altro fronte umano,
     
    il loro rosso straccio di speranza.

da www.gabit.com/gabi/pasolini.htm


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